Morgia, baffo contro tutti

La pesca è solitudine, è concentrazione, pensieri che si attaccano alla lenza, una sfida con se stessi e con la natura. Ed è lì che trovi Massimo Morgia, l’uomo prima che l’allenatore, quello che lascia il segno con i suoi valori e le sue idee prim’ancora che con il suo modulo, uno che a Pistoia e a Siena non potranno mai dimenticare: «Vorrei citare alcuni numeri: 79 partite, 168 punti, 51 vittorie, 23 pareggi, 5 sconfitte, 166 gol gatti e 60 subiti. Ma la cosa più allucinante non è che Morgia non alleni, la cosa più allucinante è che due gruppi splendidi siano stati azzerati». Romano, classe ’51, trapiantato in Toscana grazie al football, vive a Lucca dal ’76 e ha sempre avuto la sua idea di calcio, sin da quando il capitano era lui.

«Quando giocavo i calciatori erano di proprietà della società e quando arrivò lo svincolo capimmo subito che sarebbe stato un vantaggio solamente per le grandi, mentre per le piccole sarebbero stati guai, così come per noi che perdevamo quel minimo di serenità, anche economica. Adesso la crisi e le regole stanno affossando lo sport di base e la Lega Pro ne sta pagando le conseguenze», con squadre che preferiscono disfarsi di giocatori di categoria per prendere in prestito giovani delle primavere dei campionati maggiori, spesso stranieri, così non si curano i settori giovanili e non c’è ricambio generazionale.

«Non mi manca il calcio, mi manca fare calcio e se mi offrissero di guidare un vivaio, con le mie idee, partirei subito», dice Morgia. In questo senso Pistoia ha rappresentato la realizzazione di un progetto al cento per cento, dove i ragazzi si allenavano con i più grandi, dove è stato creato un senso di appartenenza unico, riuscendo a coinvolgere l’intera città: «La vittoria finale è stata solo la punta dell’iceberg di quello che sono riuscito a fare con la Pistoiese. Ho incontrato i tifosi, sono andato nelle scuole (è stato anche nei reparti di maternità e pediatria del locale ospedale, ndr), ho cercato di portare una nuova mentalità, provando a scardinare i meccanismi beceri del tifo, solo così possiamo aspirare a un nuovo modo di andare allo stadio – racconta Morgia –. Io non sono un disfattista e trovo di dubbio gusto questo continuo flagellarci, ma una cosa è sicura, anzi due: la prima è che pochi addetti ai lavori fanno qualcosa per cambiare il vento; la seconda che o ci adeguiamo agli standard europei o siamo fuori».

Poi è arrivato l’anno di Siena, campionato vinto e scudetto Dilettanti, un’apoteosi: «Lì mi sono sentito come a casa. Il Palio e come si vive la contrada, solidarietà, spirito di gruppo, rappresentano il mio ideale di società sportiva, di squadra, di come si dovrebbe vivere il calcio di provincia, perché non si possono paragonare i giocatori del Siena a quelli della Juventus o del Milan, è un errore, un autogol, come possono essere uguali Gambadori, che prende 1.500 euro il mese, e Ibrahimovic, che prende un milione».

Tevere Roma, Rovereto, Nocerina, Lucchese, Montecatini e gli ultimi anni a Pietrasanta, in D, per divertirsi ancora prima di iniziare la carriera di allenatore. Grazie a Romeo Anconetani: «Un precursore in tutto e capace di coinvolgere la gente. Con lui ho iniziato ad allenare nel settore giovanile del Pisa, ad Empoli, invece, ho fatto esordire Vincenzo Montella. Ho un debole per Vincenzino e mi piace il calcio che propone, offensivo, tecnico, e spero che torni presto ad allenare, fra i giovani è uno dei migliori, come Eusebio Di Francesco». Nereo Rocco e Giacomo Losi i maestri del passato, «Uomini capaci d’insegnarti la vita oltre lo stop e il tiro in porta», Corrado Orrico quello contemporaneo: «Guardandolo lavorare ho appreso molto, anche a me piace giocare in modo spregiudicato e a Marsala è nato il mio 3-4-3, che dopo alcuni mesi Zaccheroni ha proposto in serie A». Sarzanese, Poggibonsi, Viareggio, Pavia, Marsala, Palermo, Savoia, Catanzaro, San Marino, Foggia, Sorrento, Juve Stabia, Livorno (con Novellino), Pistoiese e Siena le panchine in venticinque anni di football.

Eppure di Morgia è stato detto, in senso negativo, che allena i tifosi, perché per smontare un progetto si deve innanzi tutto sminuirne l’ideatore: «Non è vero, io ho solo cercato di costruire un rapporto con loro e vorrei spezzare una lancia in favore degli ultras, perché spesso il tifo peggiore si annida tra le cravatte delle tribune e non in curva, se poi non siete convinti andate a vedere i babbi e le mamme che seguono i figli». Già i ragazzi: «L’altro giorno a Lucca ho visto dei giovani indiani che giocavano a cricket su un campo da calcio, così ho pensato: e i nostri dove sono? Noi stavamo in contatto col pallone dodici ore il giorno, oggi l’allenamento predilige la parte tattica e quella fisica, alla fine di pallone resta un’ora e poco più, ma è sulla strada che impari, negli oratori, dove sono rimasti».

Schietto, sempre e comunque, soprattutto con i propri calciatori: «È l’unico modo per andare d’accordo e alla fine paga sempre, perché le persone intelligenti capiscono. Tradimenti? Come nella vita anche nel calcio puoi essere deluso, ma per me sono state più le soddisfazioni. Semmai resto incredulo nel vedere giocatori, giovani e italiani, di grande qualità fermi al palo, evidentemente c’è qualcosa nel sistema che non funziona». Eppure c’è chi ancora sa lavorare con i vivai, come Empoli e Atalanta, o chi sa dare continuità al lavoro di un allenatore, com’è stato per il Foggia di Zeman e il Cagliari di Ranieri. Esempi? «Sassuolo, Carpi, Trapani e Frosinone, non si arriva dai dilettanti per caso, ma solo con progetti ben strutturati».

A Morgia piace parlare di calcio, ma sa apprezzare pure la solitudine e la pesca in questo senso è ideale: «Quella subacquea è perfetta, siamo solo io e il mare, a volte sto con alcuni pensionati, gente semplice, si parla di tutto, anche di sport perché sanno che faccio l’allenatore. Della pesca apprezzo il silenzio, la sfida con me stesso, l’aggrovigliarsi dei pensieri, perché alla fine nel mio lavoro, pur avendo uno staff, le decisioni le prendi da solo».

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