Chadi il siriano, gol e marmo
«Sole sul tetto dei palazzi in costruzione, sole che batte sul campo di pallone e terra e polvere che tira vento e poi magari piove». Non piovve quel giorno a Lattakia (la più importante città portuale della Siria) ma accadde che Chadi Cheikh Merai, terzo di quattro figli e maschio più piccolo, giocasse un torneo di calcio sulla strada, sotto gli occhi dei genitori che lo scrutavano dal balcone. Una sfida fra quartieri, tra ragazzi di dodici, quattordici, anni, solo che lui ne aveva solamente sette e volava, volava sull’asfalto segnando gol importanti: «Alla fine mi hanno preso sulle spalle gridando il mio nome – ricorda Chadi, primo siriano ad aver giocato nei campionati professionistici italiani –. Ero intimidito e non sapevo cosa mi avrebbe detto mio padre. Mentre mia mamma piangeva mi chiese il perché di quelle scene: “Perché ho segnato”, “Allora sei bravo” rispose. Quel giorno crebbe dentro di me una grande forza».
Chadi Cheikh Merai, per tutti Chadi, è nato a Lattakia, in Siria, il 20 gennaio 1976, è in Italia dal ’99, ha preso la cittadinanza nel 2003 e dopo una bella carriera spesa tra serie D e C1, come centrocampista, è diventato broker nel settore lapideo: «Avevo vinto la Syrian Premier League col Tishreen e avendo solo vent’anni sono stato convocato nell’Under 21. Nel 1996 ero in ritiro con la Nazionale e, nell’hotel che ci ospitava, ho fatto amicizia con una famiglia di Rignano sull’Arno». L’incontro di una vita, Renzo Casaglia era presidente del San Clemente e quando Chadi nel ’99 gli telefona dalla Francia, dov’era arrivato con un visto di tre mesi per tentare l’avventura in una squadra europea, lo invita in Toscana: «Devo tutto a Renzo, a sua moglie, a sua figlia, tutto quello che ho fatto e che sono diventato», ripete con un guizzo negli occhi.
In tasca 600 dollari e tanta voglia di sfondare, due mesi di prova con l’Empoli matematicamente retrocesso in B e poi, a San Gimignano, il secondo colpo di fulmine. Paolo Indiani, uno degli allenatori più preparati del panorama nazionale: «Uno scienziato del calcio, un tecnico vero, che sa insegnare, inizialmente mi faceva giocare sulla trequarti, dopo davanti alla difesa». Ma la fama arriva qualche anno più tardi, in una stagione difficile, per la precisione il 27 ottobre del 2002: «A Grosseto cominciò in salita, Indiani aveva contro il presidente Camilli, io mi ero infortunato a inizio campionato, ma prima di giocare contro la Fiorentina mi chiede se me la sento. Gioco e segnò due gol». Era la Florentia Viola, l’anno della C2, quelle reti certificano l’esonero di Vierchowod e i rignanesi sfottono bonariamente Chadi: «Via il siriano da Rignano», per poi ringraziarlo della sveglia. Alle spalle la famiglia, la patria, i parenti, le abitudini e anche una fidanzata che non voleva lasciare la Siria: «Ero passato da una città di 800.000 abitanti a un paese di 4.000, da partite con 20.000 spettatori a quelle con famiglie e fidanzate, ma è sull’Arno che sono cresciuto, che ho imparato l’italiano, senza dimenticare che avevo scelto l’Italia non Malta, la serie A era il campionato più forte del mondo e la Nazionale italiana non si discuteva. Oggi il problema più grosso sono i presidenti che non fanno lavorare in pace gli allenatori».
Poggibonsi, Montevarchi, Massese, Spal, Lucchese, Carrarese e Pietrasanta Marina le altre squadre, mettendo in bacheca una Supercoppa di Lega e tre campionati di C2, uno scudetto Dilettanti e tre tornei di CND. Un vincente, forte come il marmo, materiale tanto desiderato nei Paesi arabi e commerciato a Massa anche da famiglie siriane arrivate negli anni Settanta e Ottanta. Suo padre invece lavorava nell’edilizia ma una truffa l’ha lasciato senza lavoro. Oggi vive con la moglie ad Alessandria, pure la sorella insieme al marito è andata in Egitto, mentre un fratello lavora nelle confezioni a Prato da una decina d’anni e l’altro è scappato in Belgio con moglie e figlie, dove continua a fare il parrucchiere: «La mia città è rimasta sotto il regime di Assad e non ci sono più giovani perché la polizia li cerca, chiede i documenti e li arruola senza nemmeno permettergli di avvertire le famiglie».
Oggi Chadi ha una compagna, Eleonora, massese, e Gabriel che a novembre compirà due anni, insieme vivono a Marina di Massa: «Sono orgoglioso di avere preso la cittadinanza, di sentirmi parte di questo Paese, ma alla fine sono un cittadino del mondo, sempre in movimento, qui ho solo conoscenti perché in tutti questi anni ho giocato e lavorato, cercando di costruirmi una famiglia e aiutando economicamente quella di origine, senza tempo per il resto, come dico sempre di me stesso: “Meglio concreto che bello”». In testa ancora l’immagine di Aylan, il piccolo siriano raccolto esanime sulle spiagge turche, ma anche lo sgomento per tanta disinformazione: «Ciò che ha scatenato quella fotografia dimostra che nel mondo c’è ancora una speranza, ma voi della Siria sapete solo il cinque per cento. Il regime di Assad, padre e figlio, è stato sanguinario, sono morti 400.000 siriani, alcuni bombardati con bombe chimiche, poi è arrivato l’Isis, ma la guerra che ha distrutto oltre il settanta per cento del mio Paese è nata altrove. Hanno ucciso anziani, donne e bambini e se 25.000 persone scappano picchiate e torturate per andare a piedi dalla Sicilia alla Germania vuol dire che non hanno un’altra scelta».
Nel frattempo Chadi ha fatto l’allenatore, sempre col Pietrasanta Marina, dopo aver preso il patentino, per dare una mano a un gruppo di giovani che lo guardavano con riverenza: «Oggi mi piacerebbe lavorare con gli Esordienti, è a quell’età che si forgia un calciatore, se poi non sfondano pazienza, hanno fatto sport, tutti dovrebbero farlo e a qualsiasi età, per me è stato il calcio». Adora il cibo toscano, meno quello emiliano, ed è musulmano anche se il Ramadan col pallone si concilia male: «Più che l’astinenza dal bere e dal mangiare prima del tramonto dovrebbe essere una purificazione interna, un rifuggire i cattivi pensieri». Crede nel bene e nella vita fatta di piccoli progetti, senza mai arrendersi, come nel migliore dna siriano, ma chi è oggi Chadi Cheikh Merai? «Non lo so, perché se penso a chi sono mi fermo».