Angeli e Diavoli rossoblù


Angeli e Diavoli rossoblù
presentazione di Giacomo Bulgarelli
coautore Fabrizio Calzia
pagine 160
euro 15,00
lingua italiano

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Al Bologna ho dato il cuore e l’intera carriera.
Anche i ginocchi, malandati negli ultimi tempi, nel tentativo di raggiungere a trentacinque anni, il record di presenze con la maglia rossoblù. E il Bologna mi ha dato i momenti più belli, la parte più importante della mia vita.
Sono nato lì, nel mio Bologna, a 13 anni, e per ventidue campionati sono rimasto, nonostante le offerte e le tentazioni. Come quando Fulvio Bernardini non mi faceva giocare e io mi arrabbiai talmente da prendere in considerazione l’offerta di Nereo Rocco che mi voleva al Padova. Poi per fortuna rimasi, anche perché scoprii che quello di Bernardini era soltanto un modo per mettere alla prova il mio carattere, per conoscermi e capire chi ero e che cosa poteva fare. È stato uno die miei maestri, uno dei più importanti della mia carriera.
L’altro è stato Edmondo Fabbri, un uomo unico ma troppo moderno per il calcio di quegli anni: il suo gioco e il suo carattere non erano in sintonia con il resto del mondo calcistico. In più, era troppo emotivo e sono state queste le cose che non gli hanno permesso di emergere come avrebbe meritato.
Sono anche stato fortunato, nella mia vita di calciatore. Il Bologna di quegli anni era fortissimo e, anche se un po’ per caso, ci trovammo ai vertici, a lottare e a vincere con le squadre che da sempre hanno fatto la storia del calcio italiano.
Momenti importanti, emozionanti, che rimangono nei ricordi perché hanno qualche cosa d’incredibile: lo spareggio scudetto a Roma nel 1964, le due coppe Italia del 1970 e del 1974, anni che non si sono più ripetuti, che restano un ricordo entusiasmante per me che li ho vissuti da protagonista.
Avrei voluto rimanere, anche se non ho mai pensato a una carriera di allenatore: con il mio carattere impulsivo non sarei proprio adatto! Avrei preferito avere a che fare con le scartoffie, vedere quel mondo da un’altra prospettiva ma oggi rimango comunque legato a quella squadra, alla scelta di non cambiare mai. Da tifoso, come da giocatore: quando mi chiese il Milan – in ballo c’erano un bel po’ di soldi per la squadra e per me – ci pensai soltanto un attimo, poi consigliai Fogli. Io rimasi e non mi sono mai pentito di questa decisione.
Il calcio è rimasto nella mia vita, lo racconto in televisione, mi piace viverlo in modo calmo, razionale, ragionando seriamente sulle cose che succedono.
Certo il calcio dei miei tempi era un’altra cosa. Esordii nel 1958 e, quell’anno, ero anche impegnato nella maturità classica: mio padre mi disse che andava bene il calcio ma che se non riuscivo a inserirmi subito nella squadra, a giocare con continuità, sarebbe stato meglio che abbandonassi tutto, che mi dedicassi seriamente agli studi, perché quella era la cosa davvero importante. Erano anni in cui ho giocato con Sergio Campana, quello che gli studi li ha proseguiti e che adesso è presidente dell’Associazione Italiana Calciatori.
In Nazionale ho avuto meno fortuna, mi sono infortunato nei momenti più delicati ma il mio amore per la maglia azzurra è stato enorme e tutte le volte che l’ho indossata mi sono sentito orgoglioso di essere stato scelto, di rappresentare l’Italia nel mondo.
Oggi a Bologna, città con un’unica squadra e che quindi non vive la passione del derby, è nato un clima di sfida e di rivalità tra i due sport maggiormente seguiti. Tra il calcio e il basket, però, non si è creata alcuna tensione, non si fa a gara per rubarsi i tifosi, anzi: si va allo stadio, si vede la partita e poi tutti al palazzetto a godersi i canestri e si finisce tutti a cena insieme, con grande amicizia e rispetto.
Qui sono stato sfortunato! Tifo Fortitudo e di fronte ai successi della Virtus… non c’è proprio nulla da fare!
A questa Bologna nella quale ho vissuto momenti unici, ai tifosi, a tutti i palloni che volano e rotolano all’ombra delle torri, dedico questo libro.

Giacomo Bulgarelli

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