Ali Bin Al Hussein

Il principe che vuole farsi re

Ali Bin Al Hussein, principe di Giordania, presidente della locale federazione calcistica e della West Asian Football Federation (da lui fondata nel 2001), vicepresidente della Fifa e membro del Comitato esecutivo, ha lanciato il guanto di sfida a Joseph Blatter (78 anni) per le elezioni del prossimo 29 maggio, quando sarà eletto (o rieletto) il comandante in capo del massimo organismo mondiale di calcio. Nato ad Amman, figlio del defunto re Hussein e della regina Alia, ha studiato nella scuola della comunità americana della capitale giordana, poi Salisbury School in Connecticut, Royal Military Academy Sandhurst nel Regno Unito, completando la sua formazione alla Princeton University. La sorella, principessa Haya, è presidente della Federazione equestre internazionale, e il fratello, principe Faisal, è membro del CIO. Una candidatura appoggiata subito da Michel Platini che rappresenta i 54 Paesi votanti dell’Uefa, Platini che secondo L’Equipe nutre un odio consolidato per il candidato francese Jérôme Champagne (55). Mentre l’Afc (46 voti), presieduta da Salman Bin Ibrahim Al-Khalifa, membro della famiglia reale del Bahrain, lo scorso novembre ha confermato il suo appoggio allo svizzero Blatter.

Il piccolo principe (39 anni) ha puntato su tre concetti chiave: trasparenza, governance e calcio, quale fulcro di ogni pensiero e di ogni azione. Ha fatto parte del comitato etico della Fifa, chiedendo più volte la pubblicazione integrale del rapporto di Michael Garcia sulla corruzione per l’assegnazione dei Mondiali 2018 in Russia e 2022 in Qatar. Secondo molti è un candidato credibile, giovane e con un ottimo background calcistico. In Asia ha lavorato molto bene per la promozione del football e la creazione della Waff con dentro il Qatar ha fatto pensare a sponsor economici e politici di spessore. I Campionati del Mondo femminili Under 17 si svolgeranno in Giordania nel 2016 e Ali Bin Al Hussein si è battuto per dare maggiore impulso al calcio femminile asiatico, quando Kuwait, Yemen, Oman ed Emirati Arabi Uniti non hanno allenatori donne e i leader religiosi dell’Arabia Saudita e del Qatar ritengono che il gioco danneggi l’imene delle ragazze. Al contrario Blatter le vorrebbe sempre più discinte per rendere il tutto mediaticamente eccitante.

Contraddizioni. Come quelle del principe Ali che ha fatto revocare il divieto per le calciatrici di fede islamica d’indossare lo hijab durante le partite. Circa tre anni fa non ha alzato un dito di fronte agli scontri tra polizia e tifosi durante un match del campionato giordano, durante i quali un fotografo che riprendeva gli incidenti è stato picchiato e arrestato. Qual è il suo concetto di governance e trasparenza, si chiede sul blog transparencyinsport.org il giornalista investigativo scozzese Andrew Jennings, che insegue da anni Blatter per inchiodarlo di fronte ai suoi scandali e alle sue responsabilità. C’è poi un precedente che lega i due. Quando il sud coreano Chung Mong-joon, appartenente alla famiglia che controlla la Hyundai, ha iniziato a fare la guerra a Blatter, minacciando di candidarsi contro di lui e rinfacciandogli lo scandalo delle tangenti ISL, questo ha accreditato Ali Bin Al Hussein in Asia facendolo eleggere quale vice presidente Fifa al posto di Chung. Il 29 maggio ci sarà anche un terzo candidato, il francese Jérôme Champagne, che non si dice preoccupato della scesa in campo del principe, poiché è l’unico ad avere un programma serio e dettagliato. L’impressione è che Blatter voglia utilizzare Ali contro il diplomatico francese per ottenere facilmente la quinta conferma. Sono in molti a pensare che i numeri siano troppo schiaccianti per qualsiasi avversario e che alla fine, come sempre, vincerà Blatter.

Per i Talebani, così come per i guerriglieri di al-Shabaab, il calcio è peccato, un gioco illecito. Eppure nei Paesi arabi ha trovato grande espansione e anche un’affermazione internazionale. Affermazione cementata dalla forza economica e invasiva del Qatar che attraverso il Qatar Sports Investments ha acquistato il Psg, l’Abu Dhabi United Group for Development and Investment (Emirati Arabi Uniti) invece il Manchester City, Al Jazeera si è buttata sui diritti televisivi della Premier League e della Liga e in Francia spadroneggia con i canali BeIN Sport. I mondiali del 2022, che si disputeranno a Doha (come la finale di Supercoppa Italiana) e dintorni, stravolgeranno come mai prima nella storia il calendario del football internazionale e il Real Madrid per essere libero di fare affari a Dubai s’è dovuto piegare togliendo la croce dal logo del club. Il Qatar Sports Investments intanto ha incontrato il governo britannico per investire in Inghilterra, smentendo però l’acquisto del Tottenham Hotspur. Ali Bin Al Hussein è la classica espressione dell’islam moderato, che ha studiato in Occidente e che ha investito quelle competenze nel proprio continente. Difficile dire se voglia veramente conquistare lo scranno più alto del calcio mondiale o se sia l’ennesima pedina di Blatter. Una cosa, però, è certa, il football ai massimi livelli si fa con i soldi e gli arabi ne hanno già comprato una fetta importante.

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