Harald Nielsen, in arte «Dondolo»

Anni Sessanta, un ritiro del Bologna. La maggior parte dei giocatori gioca a carte, scopone, tresette… in un angolo ce n’è uno che legge un libro. A molti di voi oggi la cosa può apparire normale, ma a quei tempi era quasi uno scandalo. La lettura non è mai stata incoraggiata all’interno dei ritiri, perché era un’attività solitaria che non permetteva di fare gruppo e di caricarsi a dovere per la partita, o almeno così si credeva, meglio le carte, appunto, il biliardo e qualcos’altro. Non pensate che oggi, nel calcio, le cose siano cambiate di molto, ma negli anni ’60 faceva letteralmente scalpore.

A maggior ragione se a leggere era un giovane giocatore danese dai modi educati e gentili che sapeva il fatto suo e che teneva molto alla sua privacy, prim’ancora di tante leggi. Un uomo prim’ancora che un calciatore che ha saputo prendere il meglio della vita e ha saputo nutrirsi sempre dei frutti di stagione.

Harald Nielsen era nato in Danimarca a Friedrickshaven, nella regione dello Jutland, lassù tra il Mar Baltico e il Mare del Nord, dove transitano le navi che si dirigono verso la Norvegia e la Finlandia, lì dove passano le balene. Nielsen ha Bologna ha lasciato il segno in tanti modi, con le polemiche e, soprattutto, con la rete che fissò sul 2-0 lo spareggio scudetto contro l’Inter. Quel giovane danese riuscì così a cucire con le proprie mani, anzi con i propri piedi, il tricolore sulla maglia rossoblu del Bologna e questo potrebbe bastare per fare bella mostra di sé nella galleria dei grandi. Forse è bastato, forse è solo per quel suo gol che Bologna lo ricorda ancora con affetto, non l’amore riservato a un Cervellati, ma quell’affetto sincero, la stima per il campione capace d’improvvise impennate, di colpi fulminei e letali, di gol da incorniciare, dopo minuti di totale assenza.

Dal’altra parte non è facile amare un giocatore che in campo sembra sopportare la sua stessa presenza e, infatti, il rapporto con i tifosi, la società, i compagni di squadra fu spesso burrascoso, anche perché Harald rilasciava sempre le interviste, non si negava mai e diceva quello che pensava senza tanti peli sulla lingua, una mosca bianca che in tanti a Bologna hanno cercato di schiacciare, senza riuscirci. Perché Nielsen sapeva quel’era il suo ruolo, sapeva qual era il suo posto nel mondo, in un mondo, il calcio, fatto di tanti ragazzi abbandonati a se stessi e alle loro virtù pedatorie. Sarà un caso che Harald sia uno dei pochi che è riuscito ad affermarsi anche fuori del gioco del pallone? No.

Una volta Pascutti dichiarò: «Ma perché capire gli altri? Io ci rinuncio. Io sono di fuoco, il Nielsen è di ghiaccio. E allora inutile cercare un dialogo fuori del campo. Poi la domenica ci passiamo la palla e andiamo in gol. Credetemi, solo questo conta…», a modo suo la pensava così anche Nielsen, anche se probabilmente lui non si sarebbe mai definito «di ghiaccio».

In un’intervista dell’epoca Harald Nielsen sembrava rispondere proprio al compagno che in modo onesto ma educato rappresentava un po’ il pensiero di tutta la squadra, o quasi: «Oh, del resto ognuno sarà pur libero di fare a modo suo. Non è che io snobbi la gente. Dillo anche tu: ho mai negato un’intervista? Sono mai stato scontroso? Faccio forse il divo? No, niente, adoro i lunghi silenzi, sono filosofo anche se sono un bimbo. Capisco che voi italiani siete i precursori del melodramma e il dramma ce l’avete cucito sulla pelle. Ma voi non potete pretendere che io mi entusiasmo come voi, non potete pretendere che io sia espansivo come un latino. No, non è che non comunichi con gli altri. Io ho il mio modo di comunicare. Cercate di capirmi». L’unico che ci provò e ci riuscì fu “Fuffo” Bernardini che per Harald aveva una grande stima, forse più per la persona che per il giocatore, i due s’intendevano benissimo.

Nielsen in Danimarca si occupava di pubblicità, pubbliche relazioni e cinema, ma decise di dedicarsi al giornalismo e al calcio. Il gioco del pallone gli apriva le porte della Nazionale, in un Paese in cui questo sport era ancora a livello dilettantistico. La notorietà come calciatore gli sarebbe servita per vendere meglio i libri, scriveva polizieschi per bambini, e i suoi film. Anche il giornalismo, oltre a essere un allenamento per la scrittura, era un modo per farsi conoscere. Insomma Harald sapeva come curare la propria immagine e nel lavoro era un vero professionista, lo fu anche nel calcio italiano a Bologna e questo suo distacco non gli è mai stato perdonato. Giovanissimo sposò l’attrice Rudi-Mie Hansen che era stata sua compagna nel film “Far till fire”.

Con la Danimarca gioca le Olimpiadi di Roma, 1960, ha diciotto anni e segna sette reti, quanto basta per diventare famoso anche in Italia. Oltretutto i giocatori danesi, come gli svedesi, costavano pochissimo, perché dilettanti, e erano considerati bravi sia sotto l’aspetto tecnico che del rendimento. Così, con il sorriso sulle labbra, Harald Nielsen sbarcò a Bologna, dove trovò Bernardini e il vecchio Vinicio che ancora imperversava tra le difese avversarie.

Il danese si presenta segnando subito gol belli e importanti, sembra l’inizio di un idillio, ma le sue partite sono snervanti, se ne sta in disparte, abulico per una serie infinita di minuti, poi all’improvviso si accendeva e segnava, ma il gol non arrivava sempre e così arrivavano le critiche. Lo stesso Bernardini lo rimanda in panchina per sfruttare le poche sicurezze che gli da’ Vinicio, lo fa a malincuore, ma anche lui non sopporta quelle pause amletiche, tanto per rimanere in tema. I bolognesi che amano affibbiare soprannomi, soprattutto ai giocatori, lo chiamano “Dondolo” per quel suo modo di caracollare in campo, tra un gol e l’altro.

Renato Dall’Ara suggerì a Bernardini di far giocare insieme Nielsen e Vinicio, ma il tecnico non ne voleva sapere di un doppio centravanti e continuò sulla sua strada. Giocava sempre Vinicio e Nielsen diventava di giorno in giorno più malinconico. Per fortuna il tecnico ebbe l’intuizione sul finire della stagione, quando ormai non c’era più niente da giocarsi ed era inutile tenere in panca il giovanotto danese. Era una chance, l’ultima rimasta, e Harald non se la lasciò sfuggire, conquistando definitivamente allenatore e tifosi. Alcuni hanno scritto che Nielsen aveva il gol cucito sulla pelle e forse era vero, perché da quel momento inizia a segnare con grande continuità, sono i suoi gol, e non solo, a portare in alto il Bologna.

Otto gol nella prima stagione italiana, 19 nella seconda e capocannoniere a pari merito con Manfredini, 21 in quella dello scudetto e titolo di cannoniere del campionato italiano. In sei campionati con il Bologna segnò 82 gol, compreso quello nello spareggio con l’Inter.

Proprio la rete del 2-0 rappresenta il momento topico della carriera calcistica di Nielsen, per tutti era solo l’inizio di un futuro sfavillante, per Harald era la fine. Aveva vinto lo scudetto in Italia con la maglia del Bologna e con una squadra zeppa di campioni, aveva segnato tanti gol, aveva vinto la classifica cannonieri ed era stato decisivo nella partita che contava, più di tutte le altre. Per un professionista si era chiuso il cerchio, anche se era giovanissimo. La scomparsa di Dall’Ara fece il resto, pochi si resero conto che quello sarebbe stato l’inizio della parabola discendente del Bologna.

Anche questo ha inciso nel giudizio su Nielsen e nelle polemiche che ne sono seguite finché è rimasto sotto le Due torri. La Coppa dei Campioni “persa” per sorteggio, il secondo posto dietro l’Inter della stagione ancora successiva fanno credere ai tifosi che la squadra è sempre competitiva, forse lo era davvero, e che poteva tentare nuovamente la scalata al tricolore, invece si dovranno accontentare di due coppe Italia vinte nella prima metà degli anni Settanta con i resti della squadra che giocava come in Paradiso.

Il nuovo presidente, Luigi Goldoni, conferma in blocco la squadra che ha vinto lo scudetto, ma dopo un anno manderà via Bernardini per Scopigno esonerato dopo poche giornate per Luis Carniglia. Un errore dietro l’altro che non aiuta l’ambiente rossoblu.

Con il gol dello spareggio “Haroldo”, come lo chiamano sotto le Due torri, è entrato di prepotenza nel cuore dei tifosi e Helmut Haller soffre la popolarità del danese. Più estro, più classe, più continuità il buon tedescone, ma i bolognesi si sono invaghiti del bomber filosofo, dell’Amleto della pedata e il Bologna si spacca, così anche i sostenitori rossoblu. Da una parte Haller, spalleggiato da Bulgarelli e da altri compagni di squadra, dall’altra Nielsen che gode, più che dell’appoggio, della stima di Bernardini e dell’affetto di Franco Janich. In campo poi, dopo lo scudetto, le vittorie non arrivano e il genio di Haller si scontra con l’apatia di Nielsen che segna, ma non come prima. Le liti sono all’ordine del giorno, anche perché Helmut si lascia scappare qualche frase antipatica sui giornali e i giornalisti fanno il resto, è un tutto contro tutti.

Harald Nielsen continua a scrivere per i giornali danesi, di sport, ma anche di problematiche politiche, sociali ed economiche e di tanto in tanto fa clamorose rivelazioni che in Italia non traspaiono mai dal suo sorriso accattivante. Un po’ è, un po’ ci fa “Dondolo” e c’è chi non glielo perdona. Esce la notizia che la televisione danese lo vorrebbe come presentatore in doppio petto, una boutade messa in giro non si sa da chi nel momento in cui Nielsen deve rinnovare il contratto col Bologna: «Oh, se qualcuno scrive questo io contento, perché tutta pubblicità, perché allora io faccio contratto migliore… Io devo rinnovare un contratto biennale e vorrei fare la nuova stipulazione alla presenza del mio legale danese. E naturalmente cercherò di spuntare una grossa cifra perché la carriera è corta e tutto può succedere»… un’intervista così rilasciata oggi sarebbe quasi una dichiarazione di suicidio. Allora dimostrava solamente due cose, la sincerità del ragazzo danese e l’intelligenza di saper giocare con i mezzi a sua disposizione per ottenere il meglio che la vita poteva offrirgli. C’è anche da dire che questa dichiarazione Harald l’ha fatta in un’intervista del ’65, quando Dall’Ara non c’è più, forse con il presidente ancora vivo non si sarebbe mai permesso di farla e forse avrebbe condotto in altro modo le trattative.

Nielsen è scontento della mancata conferma di Bernardini e, probabilmente, capisce che da quel momento per lui sarà durissima, Haller lo provoca a mezzo stampa, ma lui rimanda la provocazione al mittente: «Io e Haller si potrà certamente giocare assieme. Oddio, sarebbe augurabile che lui la piantasse di avere certe uscite, che poi magari si rimangia il giorno dopo. Ma evidentemente lui ha un carattere fatto in quel modo. Un carattere molto diverso dal mio. Che devo dire? Sono tutti problemi di Scopigno, no?», anche se per poco.

Harald avrebbe preferito un rinnovamento della rosa, cosa che non succede con i risultati che tutti sappiamo, forse, però, poterono più le polemiche e i veleni di quel periodo che tutto il resto a chiudere per sempre la via dello scudetto al Bologna. L’arrivo di Carniglia è in pratica l’addio di Nielsen al Bologna. Il tecnico non ha mezze parole: «Bulgarelli bueno, Haller straordinario e Nielsen mamma mia!». Il tecnico è furbo e, al di là di reali convinzioni tecniche, ha capito che aria tira nello spogliatoio e si schiera con la maggioranza, con lo zoccolo duro, con quelli che comandano insomma. Il trampolino di lancio è costruito, la spinta finale però gliela da’ Gipo Viani. Probabilmente si era esaurita anche la vena di Nielsen, visto che non combinerà più niente. Un flop all’Inter, un altro al Napoli e neanche quando Bernardini lo chiama alla Sampdoria riesce a combinare granché. A trent’anni decide che è l’ora di chiudere, Harald sa che ci sono altri frutti da cogliere e che questi frutti non si trovano più nel calcio: «Il campionato italiano? Tutto avvelenato. Troppi soldi. Grazie se me li date, ma ripeto che circolano troppi soldi».

Al momento di lasciare Bologna, dopo 158 partite e 82 gol, Harald invita stampa e tifosi a pranzo e ringrazia così una città che gli sarebbe rimasta sempre nel cuore, senza rancore, come un vero professionista. Nel tempo è diventato un capitano d’industria nel settore dell’import-export e presidente del Copenaghen, dimostrando di saper scegliere sempre il momento giusto per fare le cose, come quando andava in gol: «Quando mi arriva la palla, me la tengo davanti, corro verso la porta avversaria e tiro». Per lui il gioco del calcio era tutto in questi gesti semplici, proprio perché lui non era un ragazzo semplice.

(tratto da «Angeli e Diavoli rossoblù. Il Bologna nei racconti dei suoi Campioni», Bradipolibri, 2003)

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