Il sesto senso del calcio
Lo sport, più spesso di quanto si pensi, è resilienza, la capacità di rialzarsi, di assorbire una sconfitta e continuare a lottare, vivere facendo quello che più ci piace, nonostante le cicatrici che niente e nessuno potrà mai cancellare. Flavio Aurelio Bittencourt da Silva era un mediano che amava salire oltre che difendere, ma dopo un dribbling secco il difensore saltato gli sferrò un cazzotto, era il 1989. Fu operato a un occhio, senza esito, e gradualmente perse la vista anche nell’altro, diventando cieco. Venditore di cinture e abbigliamento era spesso in viaggio per lavoro, il passaggio dalla luce al buio ha cambiato drasticamente la sua vita. Ma quando tutto sembrava perduto Flavio Aurelio si è aggrappato con tutte le sue forze allo sport più amato, diventando l’uomo tuttofare della società del distrito dov’è nato, che nel 1985 aveva contribuito a fondare: l’Esporte Clube Juventude di Bom Jardim, quartiere di Fortaleza, nord est del Brasile.
Nel 2005 è diventato allenatore della sua squadra del cuore che, ha dichiarato, lascerà solamente da morto. Si parla spesso di sport come volano d’inclusione sociale, soprattutto per i diversamente abili, ma la storia di Flavio Aurelio Bittencourt da Silva è qualcosa che va oltre la nostra povera immaginazione, perché ci sono una trentina di ragazzi vedenti che si fidano e si fanno allenare da lui, secondo alcuni di loro sa leggere meglio il calcio di molti altri allenatori normodotati. Flavio Aurelio non vede ma ci sente benissimo e l’udito è il senso con il quale conduce gli allenamenti e segue le partite, gridando, suggerendo, incoraggiando, insieme al suo secondo.
Lo scorso luglio la locale federazione ha regalato all’Esporte Clube Juventude le maglie nuove, ufficiali e da trasferta, insieme a una dozzina di palloni avanzati dai Mondiali di un anno e mezzo fa. I ragazzi di Flavio Aurelio giocano sulla terra battuta e dividono il campo con l’Ipiranga che glielo affitta per qualche spicciolo. I giocatori, ovviamente, sono dilettanti, hanno tutti un altro lavoro, le sessioni di allenamento sono poche e non essendoci i riflettori la sera non si può giocare né allenarsi. Questo, però, non ha impedito ai biancoverdi (i colori dell’Esporte Clube Juventude) di vincere la Triplice Alleanza, il torneo del quartiere Bom Jardim, terzo trofeo in carriera per Flavio Aurelio Bittencourt da Silva. I giovani di Fortaleza conoscono la sua storia ed è diventato un esempio, il testimonial di un campionato, seppur dilettante, al quale tutti vogliono partecipare, anche per conoscerlo di persona, vista la sua bravura come tecnico. Una leggenda vivente che senza vedere sa e capisce prima di tanti altri una situazione di gioco, con una consapevolezza dello spazio intorno a sé invidiabile.
Lui, oggi, vive a venti chilometri di distanza dal campo e per arrivarci deve prendere tre autobus per un’ora e mezza di viaggio, ma niente può fermarlo perché questo lavoro, il futebol, è la sua vita e la sua terapia, più psicologica che fisica. Geovania Carreiro è sua moglie, cieca dalla nascita, che lo aiuta e lo supporta: «Da quando lo conosco ha una concezione dello spazio intorno a me migliore, abbiamo lo stesso handicap ma lui sa muoversi meglio». Purtroppo pure la figlia di undici anni, Vivian Raiane, è affetta da un grave glaucoma, dovrà sottoporsi a un intervento chirurgico e la famiglia sta cercando un aiuto economico per poterlo pagare.
La vita sa regalare dolci sorprese, ma anche dolori incommensurabili, perché veder soffrire un figlio ha pochi eguali. E poi non c’è il lieto fine come nei film, come nella maggior parte, c’è solo il tempo da vivere per renderci quello che siamo e quello che saremo, insieme con il segno che lasceremo. Flavio Aurelio Bittencourt da Silva ha vissuto per il calcio, ha perso la vista per lo stesso motivo e grazie a questo sport ha una vita dignitosa, fatta di vittorie, sconfitte, speranze. In campo si comporta come quasi tutti i suoi colleghi, più o meno famosi, impreca, si arrabbia e se la prende pure con gli arbitri: «Per l’amor di Dio, signor arbitro, lei è più cieco di me…», ha urlato una volta. Flavio Aurelio è conosciuto anche come Ceguin, che è il diminutivo portoghese di cieco, non sarà politicamente corretto ma questo non cambia le cose, non cambierà mai la sua vista, così come la passione per il calcio e per una vita che, sicuramente, immaginava diversa, ma che un cazzotto ha cambiato per sempre. In meglio o in peggio, chi lo sa.