No football no cry
Usain Bolt e Bob Marley, così lontani eppure così vicini. Entrambi giamaicani, entrambi nati nelle parrocchie civili (suddivisioni amministrative) dell’isola caraibica, entrambi amanti del football. È notizia di questi giorni, infatti, che il recordman dei 100 metri giocherà a calcio con la squadra Soccer Aid dell’Unicef, in una partita che coinvolgerà le leggende di questo sport, vestendo la maglia 9.58, tempo del suo record. Il match si giocherà il prossimo 10 giugno all’Old Trafford e sulla vicenda il gossip aveva superato di gran lunga la realtà, tanto da dare Bolt futuro calciatore con la maglia del Manchester United prima e del Borussia Dortmund poi. Follia? Sono esistiti atleti eclettici, tra questi anche Michael Jordan, ma l’australiano Snowy Baker è riuscito a competere a livello nazionale in ventinove sport diversi.
«Se non fossi diventato un cantante sarei stato un calciatore o un rivoluzionario. Il calcio significa libertà, creatività, dare libero corso alla propria ispirazione», ecco una delle frasi accreditate a Bob Marley, insieme con un’altra che racconta molto più dell’uomo che del personaggio: «Se vuoi conoscermi devi giocare a calcio contro me i Wailers». Cosa che faceva spesso prima dei suoi concerti e, incredibilmente, al calcio è legata anche la fine del cantautore giamaicano.
All’inizio del 1977 parte il tour europeo Exodus e a Parigi i Wailers giocano contro il Polymusclés, squadra dello showbiz della capitale francese, mentre i giornalisti della stampa musicale vanno a fare numero nella compagine giamaicana. Francis Dordor, giornalista della rivista Best, ricorda un Marley immarcabile: «Bob aveva un dribbling straordinario, ala e centravanti insieme, intuitivo come i calciatori brasiliani che ammirava». Poi un tackle e un colpo al piede. Cade l’unghia e il medico gli consiglia estremo riposo, ma il tour continua e il piede non guarisce, così a Londra, per ulteriori accertamenti, Bob Marley scopre di avere il cancro. Si parla di amputazione e di possibili terapie e, mentre il tour viene cancellato negli Stati Uniti, il cantante decide di curarsi, anche perché l’amputazione pare fosse contro le religione che professava.
Nel luglio del 1980 Marley torna in Francia, in quella Nantes che in tempi antichi aveva prosperato con il commercio degli schiavi. Ed è qui che chiede di giocare, cinque contro cinque, contro i calciatori della squadra locale, all’epoca una delle più forti del Paese con un fantastico settore giovanile. Da una parte The Wailers e dall’altra Henri Michel, Bertrand-Demanes, Rampillon, Baronchelli e Amisse. La partita è bella e divertente, anche perché inizialmente i canarini prendono sotto gamba i musicisti e per vincere devono dare fondo a tutte le proprie energie: «Un momento di pura felicità – ricorda Gilles Rampillon –, ho ancora la foto con il Maestro, lui e i suoi ragazzi erano davvero appassionati di calcio e ci siamo divertiti molto». Alla fine Bob Marley regala a tutti i calciatori il disco autografato e i biglietti per il concerto: «Siamo persino saliti sull’autobus dei Wailers e c’era del fumo», ricorda ridendo il portiere Jean-Paul Bertrand-Demanes. L’immagine di Marley che stringe la mano a Henri Michel è diventata un’icona pop. Ricordi indelebili che ha lasciato anche in altri Paesi ogni volta che arrivava per un concerto e voleva giocare a pallone, con chiunque fosse disposto a sfidare lui e The Wailers.
Bob Marley è morto l’11 maggio del 1981 a causa di un tumore al cervello, provocato dalle metastasi partite dal piede, ed è stato sepolto in una cappella eretta accanto alla sua casa natale,a Nine Mile, insieme con una chitarra, una piantina di marijuana, una bibbia e un pallone. Un mese dopo gli è stato conferito il Jamaican Order of Merit: «One Love! One Heart! Let’s get together and feel all right!».