Jamie Tregaskiss, quando tutto era calcio
Quando tutto era calcio. Sarà capitato a molti di noi, all’età di dieci anni o giù di lì, il pallone di cuoio per giocare, le figurine per sognare e le partite allo stadio e in televisione per tifare. C’è un’età in cui per un ragazzo, oggi anche per una ragazza, è tutto, è tutto il mondo che conosce e che desidera, tutto ciò che gli serve per vivere e respirare, tra odore di fango e profumo di erba. È stato così anche per Jamie Tregaskiss, giovane di Manchester, mancuniano doc: «Tutto ciò che volevo era diventare un calciatore professionista», come ognuno di noi, continuando a tirare e ritirare contro un muro. Jamie era un’ala destra col fiuto del gol e un talento straordinario, quello che gli permetteva di saltare i difensori avversari senza fatica. Così a undici anni passa dall’Hattersley FC al Manchester City, per l’immensa gioia del padre, Stephen, che ama il calcio quanto se non forse più del figlio. Se l’obiettivo era il professionismo Jamie era sulla strada giusta.
Tutto procede così per altre due stagioni, quando, tredicenne, Jamie Tregaskiss dopo una partita lamenta un dolore fastidioso alla gamba sinistra, niente di particolare, forse una botta o un affaticamento, capita, soprattutto durante la crescita. Il fastidio però non passava e allora fu sottoposto a un percorso di fisioterapia, restando lontano per un po’ dal campo. Quando Jamie oltre al dolore iniziò a perdere peso e a sentirsi stranamente stanco la madre, Mandy, decise di sottoporlo a una TAC, visto che gli altri esami, tra cui le classiche radiografie, non avevano riscontrato niente. L’esame strumentale rilevò invece delle macchie sul bacino del ragazzo e la conseguente biopsia certificò che si trattava di cancro. Per la precisione un osteosarcoma, tumore che in Gran Bretagna colpisce circa 30 ragazzi adolescenti l’anno. I medici hanno pensato che la causa potesse essere stata un grave trauma patito saltando un muro e slogandosi le caviglie: «All’inizio l’avevo presa bene, non capivo fino in fondo quello che sarebbe stato il mio decorso, nonostante i miei genitori siano stati onesti con me fin dal principio, parlando di cancro». Ma un calciatore di tredici anni, con la vita davanti, come può intuire che quella malattia cambierà per sempre la sua vita? Non può, e non si tratta d’incoscienza o d’ignoranza, semplicemente non può, oseremmo dire che non deve.
Il primo step per Jamie è stata la chemioterapia, che avrebbe dovuto ridurre il tumore, tre mesi, perdendo i capelli e saltando un anno scolastico. Ma da sola non bastava e i medici misero il ragazzo e la famiglia davanti a un bivio obbligato: per salvargli la vita dovevano amputare la gamba: «Ero molto triste, la cosa peggiore durante la chemio era non poter giocare a calcio, ma dopo l’amputazione ho capito che non avrei potuto più scendere in campo. In quel momento ero perso, i miei sogni di bambino schiacciati, non vedevo vie d’uscita, non avrei mai potuto diventare un calciatore professionista e nessuno della mia famiglia poteva aiutarmi o consolarmi».
Durante la degenza, però, Jamie ha incontrato un altro paziente che aveva perso una gamba e aveva sentito parlare della squadra di calcio per amputati di Manchester, una delle migliori del Paese. Il ragazzo non ha perso tempo e, appena ha potuto, è andato a vedere gli allenamenti: «Sembrava molto difficile, ma appena sono stato fisicamente in grado ho voluto provare». Correre con le stampelle, calciare la palla senza cadere, saltare per colpire di testa, atterrare e cambiare improvvisamente direzione. Jamie Tregaskiss in quei mesi aveva camminato solo con le stampelle perché non era convinto di mettere la protesi, così si è trovato a proprio agio. Ha fatto amicizia con i compagni di squadra, la maggior parte più grandi di lui, e ha scoperto tante storie diverse; c’era quello che aveva fatto un incidente stradale, chi era stato in guerra e chi, come Jamie, era stato colpito da una malattia: «Le prime volte era molto faticoso e c’è voluto un po’ per abituarmi, ma alla fine penso di essermela cavata bene».
La verità è che Jamie ha ritrovato quel ritmo e quel tocco di palla che aveva già dimostrato di avere da bambino, quando segnava gol senza sosta, e nonostante ci voglia più forza gioca come allora, con la stessa capacità di saltare i difensori avversari. Oggi, a 22 anni, è uno dei titolari del Manchester City FC Amputees e della Gran Bretagna, giocando match internazionali e partecipando alle manifestazioni più prestigiose: «Anche con una gamba sola mi sento un calciatore professionista, quindi ho quasi raggiunto il mio obiettivo». Il club fa riferimento alla charity City in the Community nata nel 1986 con l’intento di utilizzare lo sport per migliorare la vita dei bambini della città, siano essi malati o indigenti, e da allora in 50.000 hanno beneficiato di questo lavoro. Attualmente Jamie Tregaskiss è considerato il calciatore amputato più forte del mondo e in molti sperano che possa essere il testimonial di questo sport, sempre troppo snobbato dai media e particolarmente sviluppato in Inghilterra e nei Paesi del Centro America. Nel 2016 ha ricevuto palla sulla fascia sinistra, l’ha alzata al volo, ha superato un difensore col rimbalzo e ha calciato in porta di prima intenzione, superando il portiere: un gol diventato virale sui social che certifica la popolarità di questo ragazzo che a un certo punto ha smesso di credere nella vita.
Jamie fuori dal campo lavora part time da Build-A-Bear, esce con gli amici e fa quella che in molti definiremmo una vita normale, dove nessuno ancora ha capito quali siano i confini della normalità. Così giovane potrebbe diventare il portabandiera planetario del calcio per amputati, vista la sua determinazione e il suo talento: «Sono orgoglioso di me stesso per dove sono riuscito ad arrivare. Mi sento un calciatore professionista nonostante una gamba sola e posso dire di avere realizzato il sogno di quando ero bambino. La mia carriera e il mio giocare a calcio sono il messaggio migliore che possa mandare a tutti i bambini che si sono ammalati, com’è accaduto a me: non mollate mai». Fino alla fine e ritorno, caro Jamie. Noi saremo sempre qui, ad aspettarti e a tifare per te.