La tratta dei calciatori bambini
Aimar Centeno nel 2002 ha vinto il reality show argentino «Camino a la Gloria», o se preferite «Glory Road». Il programma, ideato dal giornalista e uomo d’affari argentino Mario Pergolini, andò in onda sul Canale 13 nazionale mettendo in palio un provino col Real Madrid. Dodicimila i ragazzi riuniti in un campo di polo per vedere cosa sapevano fare col pallone tra i piedi e solo 42, tra i 12 e i 17 anni, furono selezionati per la fase finale, avendo come giurati Roberto Perfumo, “Pepe” Basualdo, Carlos Mac Allister e Javier Castrilli. Come in un film, Aimar fu portato subito a Madrid rilasciando un’intervista dietro l’altra, neanche fosse il nuovo Redondo. La prima settimana le cose andarono bene, poi il ragazzo iniziò a incontrare qualche problema psicologico e senza alcun aiuto fu rispedito in Argentina. Non sappiamo se il suo ritorno fosse già previsto e il Real Madrid era solo una farsa legata alla trasmissione televisiva, ma per Aimar iniziò la discesa. Fu acquistato dal River Plate che lo spedì a giocare nelle serie minori, dopo sei mesi da titolare s’infortunò; Rosario Central, Chacarita e Sarmiento de Junin le squadre in cui ha giocato dopo, senza più rivedere i campi della Primera Division argentina. Oggi è rappresentante della Coca-Cola nella sua città natale.
Non è una storia nuova quella di Aimar Centeno, basta fare un giro nei campi della provincia italiana per trovarne di simili, ragazzi bravi con i piedi ma non con la testa, quelli che al momento del grande salto si sono infortunati gravemente, chi non aveva la famiglia alle spalle, chi mancava della giusta raccomandazione. Sogni infranti sul più bello, ma almeno senza l’illusione costruita ad arte, come nel caso di Aimar e di migliaia di bambini e ragazzini che in Asia, Africa e America Latina vengono quotidianamente setacciati per trovare il nuovo Messi o il nuovo Neymar, che frutterà milioni di euro a chi saprà piazzarlo e gestirlo. Migliaia strappati dalla loro povertà, certamente, ma anche dai loro giochi, dai loro amici, con l’inganno di cambiare vita per sé e la propria famiglia, per poi perdersi in un Paese straniero o tornare dove prima, peggio di prima.
Una vera e propria industria che senza mezze parole può essere paragonata a qualsiasi altra tratta di esseri umani e che, ciclicamente, viene a galla come quella che ha bloccato il mercato del Barcellona. La Fifa, infatti, vieta il trasferimento dei minori, norma che viene aggirata facendo arrivare i genitori, cui viene trovato un lavoro. I blaugrana sono stati sanzionati, ma agisce così pure il Real Madrid e altri grandi club europei. C’è chi apre scuole calcio in giro per il mondo, ma il meccanismo di fondo resta invariato. Il giornalista cileno Juan Pablo Meneses ha raccontato in un libro («Ninos futbolistas») quello che accade a questi ragazzi e chi lucra sul loro talento, vero o presunto, libro che in Italia è stato tradotto dall’Aic ed edito da Goalbook Edizioni; una denuncia verso un sistema che alimenta false speranze: «I ragazzini sognano di diventare famosi, le famiglie di uscire dalla povertà, i procuratori cercano il guadagno e i grandi club di acquistare a basso costo i campioni del domani», scrive Meneses sottolineando l’autoalimentazione di un’illusione così potente.
Il Real Madrid ha aperto scuole in Bolivia e Guatemala, che non sono nemmeno due Paesi famosi per aver prodotto calciatori di talento, ma decisamente più invasivo è il metodo del Barcellona che con Nike The Chance ha perlustrato qualcosa come 50 milioni di bambini nel mondo: «Un’operazione – afferma Juan Pablo Meneses – cui ha partecipato Pep Guardiola e che i blaugrana hanno fatto con il logo Unicef sulle proprie maglie». Un altro che è finito nel tritacarne è stato il cileno Nelson Bustamante, arrivato al Brescia per 300.000 dollari e oggi al Matera in Lega Pro, anche se questo ha più a che fare con le capacità intrinseche di un giocatore di adattarsi e di confermare le proprie qualità ad alti livelli, che spesso è la cosa più difficile. Meneses è molto netto, condannando i premi di formazione stabiliti dalla Fifa, che secondo lo scrittore cileno alimentano ancora di più il meccanismo, senza dimenticare invece che quelli, nazionali e internazionali, servono semmai per finanziare il movimento di base, senza il quale non esisterebbe nemmeno quello patinato.
Ma Meneses punta il dito soprattutto contro Messi: «Il Barcellona ha preso un ragazzo per pochi soldi e oggi vale 130 milioni di euro per 65 chili, due milioni al chilo. La dirigenza racconta sempre che fu preso per aiutarlo con dei problemi di salute, dimenticando o facendo finta di dimenticare che se la sua squadra vinceva 10-1 nove reti le segnava Messi. Lui ha creato il mito dei ninos futbolistas». Accuse dure, corroborate da un libro inchiesta che ha portato lo scrittore in giro per il mondo e rendendo paradigmatica la storia di Milo, protagonista del suo racconto. Chi storce il naso dimentica il fenomeno africano legato alla Francia, dove uomini senza scrupoli portano (soprattutto dal Camerun) i ragazzi, chi funziona bene, gli altri vanno a ingrossare le file dei sans papiers, abbandonati al peggiore dei destini. Meneses ha individuato un sistema di procuratori e amici degli amici attraverso cui passano i ragazzi prima di approdare ai grandi club europei perché, come in Italia, non si arriva solo grazie alla testa e al talento ben mixati, si arriva grazie anche alle conoscenze e alle raccomandazioni. Uno su mille ce la fa, dice Meneses, è non è detto che sia lui il più bravo.