Le Stelle Nere di Kibera
In Kenya, a Nairobi, esiste un luogo non luogo, un mondo nel mondo: Kibera, terra delle foreste, la più antica bidonville del pianeta, alcuni dicono sia la più popolosa con i suoi 300.000 abitanti (la leggenda narra di un milione). Nel 1880 vi erano accampati i soldati sudanesi che combattevano per l’armata dell’Impero britannico, nel 1912 il governo di Sua Maestà gli donò 4.197 ettari di terreno alle porte di Nairobi, valore che fu riconosciuto anche durante la Prima guerra mondiale alla quale presero parte al seguito dei King’s African Rifles.
Più di un secolo dopo il mondo non è più lo stesso, ma Kibera è sempre lì, con la sua povertà, criminalità, mortalità infantile e un’altissima concentrazione di malati di HIV. Qui si muore di droga, alcool, violenza, ma nel contempo ci sono attività commerciali di ogni genere, una città che vive e che spera attaccata alla grazia e alla dignità delle persone che vi abitano e che rifiutano l’idea che il loro destino rimanga impantanato per sempre nel fango che circonda lo slum.
Forse è anche per questo che Kibera ha una squadra e una scuola calcio, Slum Soka, grazie a persone come Godfrey Otieno, uno dei fondatori delle Black Stars con un passato nella Prima divisione keniota. La squadra della bidonville ha vinto il campionato provinciale e per la prima volta è stata promossa nella Terza divisione nazionale, torneo che però non è iniziato per problemi interni alla Federazione, una gioia solo rimandata per una formazione melting pot, l’unica di un Paese in cui ogni club esprime l’appartenenza a un’etnia diversa.
Il salto di qualità delle Black Stars ha un nome e un cognome: Luc Lagouche, insegnante francese nato a Cambrai. Il padre gli ha trasmesso l’amore viscerale per il calcio e per l’Africa, per dove è partito nel 1996. Destinazione Nigeria, iniziando a insegnare nella scuola francese di Kano, nord del Paese, zona in cui imperversava e imperversa Boko Haram. Nel ghetto solforoso di Badawa ha creato una squadra di calcio con cristiani e musulmani mischiati insieme, si chiamava FC Buffalo in onore alla canzone di Bob Marley Buffalo Soldier, oggi si chiama FC Abuja, e nel 2008 è arrivata in Prima divisione. I costi sono aumentati e lo stipendio di Luc non bastava più a sostenere le spese del club, così ha chiesto aiuto alla commissione anticorruzione della Nigeria, scoprendo che era corrotta anch’essa e così decise di trasferirsi al liceo Denis Diderot di Nairobi.
A Kibera ce l’ha portato Charles Oriedo, consigliere di distretto, qui ha conosciuto Godfrey Otieno e i ragazzi della scuola calcio, una cinquantina circa, che giocano nell’Isaac Pitch, un campo di polvere rossa che devono difendere ogni giorno, perché alcuni vorrebbero costruirci altre baracche invece che lasciarlo cuocere al sole africano in attesa di essere calpestato da chi sogna di diventare un calciatore e magari, un giorno, salutare per sempre la bidonville. Si può sognare avvolti da polvere e fango? Secondo Luc Lagouche sì, così ha affiancato l’allenatore Erick Ouma Okoth, che a Kibera c’è nato e cresciuto, un uomo capace di donare se stesso e fiero delle proprie origini. Insieme, due anni fa, hanno organizzato allenamenti settimanali sulla collina che guarda le baracche, destinando 1,50 euro a ciascun giocatore per ogni seduta, altrimenti a Kibera si trova sempre qualcosa di meglio da fare.
Con gli allenamenti sono arrivate la disciplina e le regole, rispetto per gli altri, sia nelle parole che nel comportamento. Non solo durante gli allenamenti ma anche nella vita di tutti i giorni. Luc ha poi finanziato la costruzione di una piccola palestra e 15 euro per ogni vittoria, spendendo la metà del suo stipendio mensile di 3.000 euro. Così è riuscito a portare le Black Stars in alto, in testa alla classifica dalla prima all’ultima giornata, il prossimo step sarà la costruzione di una club house dove i calciatori, grandi e piccoli, possano passare del tempo, magari studiando un po’. In una delle ultime partite c’erano 5.000 spettatori tra i quali il collettivo di artisti Maasai Mbili, sempre presente: «Luc non solo ci finanzia – ha sottolineato il ventiduenne Sylvester Ochieng – ma, cosa più importante, ci ha fatto credere in noi stessi», sognando di essere il nuovo Paul Thiong’o arrivato all’Empoli, o Ayub Timbe, andato prima al Genk poi al Lierse, in Belgio.
Luc Lagouche e Erick Ouma Okoth hanno compiuto un vero e proprio miracolo, che però ha bisogno di ossigeno e di tante stagioni davanti a se, buone come quella del 2013-14, perché molti giovani comprendano che con il lavoro e l’impegno si possono raggiungere risultati incredibili e inaspettati, per credere che non si scappa dalle strade luride di Kibera, ma si può lasciarle alle spalle, per sempre: «La cosa più bella non è aver vinto il campionato – ha detto l’allenatore Erick Ouma Okoth – ma pensare che molti di questi ragazzi se oggi non fossero qui con noi sarebbero già morti per droga o per violenza».
Nella più antica bidonville del mondo, lì dove un tempo si accampavano i soldati sudanesi al servizio di Sua Maestà britannica, ci sono altri guerrieri, armati solo di scarpini sfondi e in lotta col destino lurido delle strade di Kibera. Sognano una vita migliore e lo fanno giocando a calcio, credendo in se stessi e rispettando un francese magro venuto dal mare che non si è mai arreso davanti all’evidenza. Ce la faranno? La loro storia è diventata leggenda e per questo ce l’hanno già fatta. Per il resto? Chiedi alla polvere.