Erbstein Lucchese 1936

Erbstein, il primo mago

Una vittoria netta, senza appello in casa della Spal (0-4) e la Lucchese, prima a pari merito col Novara con 48 punti, vince il campionato di serie B e conquista, per la prima volta nella sua storia, la promozione in A, era il 31 maggio 1936. Dieci giorni prima Pietro Badoglio aveva ceduto al generale Rodolfo Graziani il titolo di viceré d’Etiopia e il comando delle truppe; il 4 giugno, in Francia, il socialista Leon Blum formava il nuovo governo.

Erno Egri Erbstein

In quella squadra c’erano calciatori del calibro di Libero Marchini, oro ai Giochi Olimpici dello stesso anno con la Nazionale universitaria guidata da Vittorio Pozzo e che per l’occasione si fece fotografare con Jesse Owens, il portiere Aldo Olivieri, campione del mondo nel 1938 e Antonio Perduca cui il presidente, Giuseppe Della Santina, pagava un ingaggio di 35.000 lire, con i quali si comprò un’Aprilia.

Rigamonti Erbstein Bacigalupo

Una vittoria conquistata, soprattutto, in casa dove i rossoneri, allenati dall’ungherese Erno Egri Erbstein vinsero sedici delle diciassette partite, perdendo solo il derby contro il Pisa per 1-2. Fuori casa il ruolino fu molto diverso, perdendo sia contro il Novara che contro il Livorno che alla fine sarà terzo con 47 punti. Il 31 maggio lucchesi e piemontesi sono appaiati a 46, livornesi dietro a 45, vincono tutti e i tre punti della formazione rossonera contro la Spal sono decisivi per la promozione, con 21 partite vinte, 6 pareggiare e 7 perse, 75 gol fatti (migliore attacco) e 33 subiti (seconda migliore difesa). Nel successivo campionato di serie A la Lucchese arrivò settima a pari punti con l’Ambrosiana Inter, con il Bologna campione d’Italia; il risultato più alto mai raggiunto dalla compagine toscana.

mazzola_erbstein

Artefice di tutto questo l’allenatore ungherese di origine ebraica Erno Egri Erbstein, dove Egri è il cognome che servì a lui e a sua figlia per scampare alla persecuzione nazista: «Aveva una luce speciale, è stato lui a fare la differenza per la Lucchese prima e il Grande Torino dopo. Sapeva trasmettere la sua energia ai giocatori, creare unità di anime. Mio padre era un umanista, un filosofo, un uomo giusto: per questo è stato un grande allenatore», ha ricordato la figlia Susanna Egri, ballerina nei teatri di Parigi e Firenze alla fine degli anni Quaranta e la prima danzatrice della storia a esibirsi, il 3 gennaio 1954, nella trasmissione ufficiale della Rai, che all’inizio dell’anno ha presenziato a un acclamato docufilm il quale ha ricostruito la storia del padre, «L’allenatore errante» (stesso titolo del libro di Leoncarlo Settimelli, pubblicato nel 2006), e a un memorial di calcio in suo onore a Capannori; nel 2019 uscirà in italiano la biografia scritta dalla figlia.

Susanna Egri figlia Erbstein

Erbstein, tra le altre cose, traccia le linee guida dell’allenatore moderno, la cui figura per tutti è stata letteralmente inventata da Helenio Herrera, in cui la dimensione atletica assurge alla stessa importanza di quella tattica: dal controllo del regime alimentare alla gestione del tempo libero. Il giocatore doveva essere un atleta, allenarsi tutti i giorni, stare a dieta e chi rientrava tardi la sera veniva preso a calci nel sedere dallo stesso Erno. In quella Lucchese allena uomini di grande personalità come Bruno Neri che trovava ogni scusa per non fare il saluto fascista e frequentava il Caffè delle Giubbe Rosse a Firenze, morto partigiano il 10 luglio del 1944. Bruno Scher, difensore roccioso di origine istriana cui fu chiesto di cambiare il cognome in Schere e lui smise di giocare a calcio. Libero Marchini, di famiglia anarchica che il padre voleva chiamare Libertario e il bomber Elpidio Coppa che prese tanti calci da Erbstein perché amava frequentare le balere.

Valentino Mazzola ed Erbstein

Erno Egri Erbstein era nato a Oradea, oggi Romania, il 13 maggio 1898 e aveva avuto una modesta carriera da calciatore, provando anche l’avventura negli Stati Uniti. La sua evoluzione d’allenatore si compie esclusivamente in Italia: Fidelis Andria, Bari, Nocerina, Cagliari e ancora Bari, prima di approdare alla Lucchese nel 1933. Con i rossoneri conquista due promozioni, dall’allora serie C alla B e poi da questa alla serie A, ma nel settembre del 1936 Roberto Farinacci sul quotidiano «Il regime fascista» inizia una campagna contro gli ebrei. Quando nel 1938 vengono emanate le leggi razziali fasciste la vita a Lucca per gli Erbstein si fa difficile: «Per evitarmi umiliazioni mio padre mi portò a Torino».

deportazione

Ferruccio Novo lo vuole in granata ed Erno si porta dietro Aldo Olivieri. Ma nemmeno Torino è più sicura, così dopo una stagione, si tenta lo scambio con Ignac Molnar allenatore dell’RFC Rotterdam. Questi arriva in Piemonte, ma Erbstein è fermato alla frontiera dai nazisti ai quali, alla domanda a quale etnia appartenga, sorridendo, risponde: «Alla razza umana». Costretto a riparare a Budapest, con l’aiuto del presidente Novo, trova lavoro come rappresentante tessile per una ditta italiana. nel frattempo Novo si affida a suoi consigli per costruire il Grande Torino, come gli acquisti di Ezio Loik e Valentino Mazzola. Quando nel 1944 l’Ungheria è occupata dai nazisti Erno Egri Erbstein finisce in un campo di lavoro dal quale riesce a scappare e, salvandosi più volte la vita a vicenda con la figlia Susanna, riesce a trovare rifugio nel consolato svedese insieme a molti altri ebrei, fino all’arrivo dei sovietici. Finita la guerra torna a Torino e vince l’ultimo titolo di quella straordinaria generazione di calciatori, morendo insieme a loro il 4 maggio 1949 nella tragedia di Superga.

Erbstein Grande Torino

In questi ultimi mesi a Lucca si è aperta la discussione se intitolare a questo grande allenatore e grandissimo uomo lo stadio dove giocano i rossoneri, considerando non solo la sua vita, ma il suo legame con il momento più alto e importante del calcio lucchese, che non ha mai più rivissuto quei fasti e quelle soddisfazioni. I contrari hanno detto che: «Il Porta Elisa non si tocca… un’iniziativa del genere potrebbe avere una giustificazione e un riconoscimento solo e soltanto se frutto di un processo che venga dai tifosi». Insomma, da quelli che non sanno niente e non intendono onorare la storia della quadra per la quale, a parole (cori), dicono di tifare. Se questo è football.

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