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Il calcio sopra le barricate


Il calcio sopra le barricate
pagine 192
euro 15,00
lingua italiano

– Compralo Subito –


Il ’68 per molti, anche per quelli che lo hanno rinnegato, ha rappresentato lo spartiacque della seconda metà del Novecento; la coscienza della società borghese occidentale che è stata costretta a guardarsi pubblicamente allo specchio.
Un’intera generazione è passata attraverso un momento totalizzante che per alcuni è durato un anno, per altri di più, per altri ancora non è mai finito.
In mezzo a tutto questo, in mezzo alle occupazioni universitarie, alla guerriglia urbana, a una nuova coscienza popolare, l’Italia del calcio realizzava il sogno, vincendo gli Europei, dopo la grande delusione dei Mondiali inglesi e la beffa coreana.
Ferruccio Valcareggi è il vate della nuova Nazionale che torna a vincere dopo gli allori di Pozzo degli anni Trenta. Una vittoria inattesa, per questo ancora più bella, la vittoria di una generazione di giocatori, la meglio gioventù, che sarà ricordata per Italia-Germania 4-3.
Francesco Caremani, attraverso le testimonianze dei protagonisti di allora ha voluto ripercorrere quei momenti e fissare alcune, significative, immagini di quell’epoca. A metà tra l’aneddoto e il ricordo, cercando di cogliere quel cono d’ombra che ogni cambiamento generazionale lascia dentro ognugno di noi.
E in un gioco di rimandi la vittoria dell’Italia agli Europei, la monetina che ci fa vincere la semifinale contro l’Urss, la doppia finale contro la Jugoslavia, un’affermazione sofferta e stranamente dimenticata dal calcio italiano.
Fotografia lieve, ma non superficiale, di una generazione che ha portato la fantasia al potere solamente rincorrendo un pallone.
Era il 1968.

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Nerazzurri siamo noi


Nerazzurri siamo noi
prefazione di Roberto Boninsegna
pagine 228
euro 15,00
lingua italiano

 

– Compralo Subito –


L’Inter… sono le cose più belle e le cose più brutte della mia vita di calciatore, sono quella maglia che ho sognato e quella squadra che mi ha fatto aspettare per troppi anni, sono le vittorie che ho vissuto e quelle che ho visto soltanto da lontano.
Dopo cinque anni nelle giovanili nerazzurre, al momento di entrare nella rosa della prima squadra, di giocare finalmente nel calcio che conta, pesano ancora oggi quei tre anni lontano da Milano, quei prestiti annuali, al Prato, al Potenza (e fu l’anno più brutto: avevo chiesto di rimanere vicino a Mantova ma mi risposero che se non andavo a Potenza dovevo smettere di giocare), al Varese, mentre l’Inter vinceva tutto quello che poteva vincere, mentre io perdevo gli anni migliori, miei e della squadra, le vittorie importanti.
Ogni anno mi prestavano, ritornavo e ripartivo, fino a quando mi vendettero al Cagliari. Una stagione bellissima, che mi permise di indossare finalmente la maglia azzurra ma era anche quella azzurra e nera che continuavo a sognare! È arrivata, l’anno dopo, nello scambio con Domenghini, Gori e Poli e mi ha permesso di vivere quei sette anni bellissimi, da titolare, nello stadio che ho amato e davanti a tifosi che mi hanno sempre capito e amato e ai quali rimpiango di non aver potuto dare più anni a San Siro. Sì, perché dopo l’Inter è arrivata la Juventus, la nemica storica: un passaggio doloroso anche perché un’altra volta ho capito che l’Inter pensava di non aver bisogno di me. E invece a Torino ho dimostrato di valere ancora, di poter contribuire a vincere trofei di grande prestigio, anche se ero stato ceduto perché ormai la società e il presidente Fraizzoli pensavano che fossi ormai un calciatore a fine carriera.
Certo il mio carattere non mi ha aiutato: se avessi assunto atteggiamenti più morbidi, se fossi stato più accondiscendente, forse avrei potuto viaggiare su una strada meno accidentata ma è anche grazie al mio carattere che sono riuscito a rimanere a galla, a non lasciarmi demoralizzare negli anni iniziali in serie B, alla mia cessione alla Juventus o quando in Nazionale sono riuscito a giocare soltanto grazie all’infortunio di Anastasi, perché purtroppo Valcareggi non ha mai creduto veramente nelle mie capacità.
Però ho vissuto sicuramente momenti molto belli, nella mia carriera: l’anno a Cagliari, il rientro all’Inter – anche se la mia rivincita, nel veder riconosciuta la mia importanza in squadra, è stata una “vittoria di Pirro”: quegli anni ormai erano persi per sempre per me – e, dopo il disagio iniziale, gli anni a Torino.
Oggi guardo questo calcio sempre più veloce, sempre più tattico, che sta lasciando in secondo piano lo spettacolo e che diventa sempre meno bello. Non voglio sembrare uno di quelli che rimpiangono i bei tempi andati ma non si può non vedere che è cambiato molto nel mondo del calcio.
Se ci sono state persone che, in vari modi, hanno influito negativamente sulla mia carriera, c’è però chi mi è stato sempre vicino, quelle persone a cui penso sempre con infinito affetto: i tifosi della curva interista, i Boys, ai quali dedico un pensiero speciale e questo libro.

Roberto Boninsegna

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Milan nel cuore


Milan nel cuore
prefazione di Gianni Rivera
pagine 224
euro 15,00
lingua italiano

– Compralo Subito –


Ho usato tanto i piedi ma, soprattutto, forse ho usato la testa.
Per un calciatore i piedi sono importanti, spesso è soltanto per quello che sono riusciti a fare che uno viene ricordato. Ma, ieri come oggi, il calcio è un mondo chiuso, in cui valgono regole rigide e non discutibili, un mondo in cui è difficile essere accettati se si decide di pensare in modo autonomo, se si sceglie un modello diverso, se la testa non serve soltanto per fare gol.
Attorno al calcio ci sono sempre più interessi economici e più potere, sempre meno sentimenti, emozioni, romanticismo ma non me la sento di dire che allora, negli anni Sessanta e Settanta, tutto ciò fosse molto diverso. Il calcio non è pulito né sporco, è come tutto il resto, è un pezzo di mondo e ne rispecchia i lati buoni e quelli cattivi, le virtù e le magagne.
Vedevo già allora gli aspetti positivi, la vita agiata che il giocare a pallone ci permetteva ma mi sono sempre interessato anche a quello che succedeva fuori, nelle classi sociali meno fortunate, tra i giovani che non avevano avuto simili opportunità. E il mio impegno sociale, soprattutto nell’associazione Mondo X, non è mai stata vista di buon occhio, un dispendio di energie… Se, nel Milan e nella Nazionale, sono riuscito a giocare ad alti livelli e per tanti anni, lo devo alle persone che hanno creduto in me e mi hanno dato la possibilità di crescere e di giocare, forse perché anche loro amavano usare la testa, oltre ai piedi.
Penso a Pedroni che mi fece esordire nell’Alessandria a 15 anni, e allora l’Alessandria era in serie A! E che mi portò al Milan. Penso a Gipo Viani che si oppose al mio prestito al Padova, all’importanza nella mia crescita che hanno avuto persone come lui e come Nereo Rocco. È grazie a loro che per diciannove anni ho potuto indossare la maglia rossonera e, anche se con minor fortuna, quella della Nazionale.
Eppure se penso a quegli anni, alle vittorie, e sono state molte, alle soddisfazioni che la carriera mi ha dato, mi rendo conto che più degli scudetti o delle coppe, ci sono tra i miei ricordi più belli le parole che mi dedicò France Football, nel 1969, nell’anno del Pallone d’oro: «In un calcio arido, cattivo, con troppi dubbi di doping e premi elevati, Rivera è il solo a dare un senso di poesia a questo sport».
Dalle persone e con le persone con cui ho vissuto la mia esperienza nel mondo del calcio ho imparato molto. Ma chi più ha contato in questi anni è stato Nereo Rocco: è a lui che desidero dedicare un pensiero particolare e queste parole.

Gianni Rivera

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HEYSEL. The Truth


HEYSEL. The Truth
pages 240
price 15,00 €
language English

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On 29 May 1985 at the Heysel stadium in Brussels, before the European Cup final between Juventus and Liverpool, 39 people died.
They died in block Z, crushed and suffocated by the crowd, under the blows of English hooligans dulled by alcohol; and due to the distinct complicity of the Belgian authorities, the local police and UEFA were unable to predict what would occur, and to intervene.
It was a predictable tragedy that struck the sport of football and our consciences with desperate drama. It is an open wound that has never healed, because no one can or should die during a simple football match.
What happened before Juventus–Liverpool has been recounted by everyone; many have told about what happened during and after the event, including their own stories, but no one has ever really delved into the real, uncomfortable truths. The personal effects stolen, the arrogance of the authorities, the long, hard, disdained legal battle carried out by the Association of Victims, by Otello Lorentini who in Belgium lost his son Roberto (awarded a silver medal for Civil Valour for having died trying to save a fellow human being). The humanity of 39 families has been trampled for no justifiable reason.
This book is a gesture owed to the memory and dignity of 39 people who lost their lives to watch a game. To remember what the football environment has tried too often and too quickly to forget.
«This book – said Walter Veltroni, former Deputy Prime Minister of Italy – is precious and beautiful. Not just because it warns us not to forget, and because it faithfully and reliably narrates everything that happened; but also because it is a book of inquiry that contains the passion of the diary, of the biographical page. Caremani declared that this is the book he would never have wanted to write, but what happened transformed the pages in “his book”. Inside and behind the mass of forgetfulness, of superficiality, of the sloppiness of failures and faults, the author investigates the passion of those subjected to the most inconvenient testimony: that of memory. He collected evidence, listened and reported, perhaps to attenuate his pain, and truly, that dark knot, that lump in his throat that Caremani carried within him, turned into courage and tenacity. The rabid desire to know became a strong civil protest; it became a piece of history to read and maintain, it became the lucid and critical evidence of a massacre that was avoidable. I love this book: it is a great act of love for 39 innocent people, and a warning not to lose the way of humanity and compassion».