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L’America Champions League

“L’America era Atlantide, l’America era il cuore, era il destino, / l’America era Life, sorrisi e denti bianchi su patinata, / l’America era il mondo sognante e misterioso di Paperino”.

Una Champions League americana, dall’Alaska alla Terra del Fuoco, della durata di circa otto mesi, ben inserita nei calendari della Concacaf (Confederazione calcistica del Nord, Centro America e Caraibi) e della Conmebol (Confederazione Sudamericana di calcio), alla quale dovrebbero partecipare sessantaquattro squadre, 16 da Brasile e Stati Uniti, 10 argentine, 8 messicane, 3 colombiane, 2 cilene e uruguaiane, una paraguaiana; ai preliminari due ecuadoregne, peruviane, boliviane, costaricensi, caraibiche e una guatemalteca. Al momento si tratta solamente di un sogno, un’idea, un business che potrebbe partire nel 2019 e che secondo il suo ideatore, Riccardo Silva (presidente e principale azionista della MP & Silva, mpsilva.com), “Sarà come la Uefa Champions League”, ma c’è di più, forse uno dei motivi scatenanti: “Nel football americano, nel basket e nel baseball gli Stati Uniti sono i migliori del mondo, nel calcio no. Con questa competizione i club statunitensi avranno l’opportunità di misurarsi con alcune delle squadre più forti del pianeta e migliorarsi”, ha detto a Victor Garcia, giornalista del sito spagnolo El Confidencial.

L’idea, che promette bene dal punto di vista economico (5 milioni di dollari a ogni partecipante, 30 alla vincitrice, per un montepremi di 440), non è piaciuta a tutti, soprattutto in Sudamerica, dove ci sono le squadre più importanti, quelle che darebbero lustro alla competizione e che dal 1960 hanno reso famosa e ambita la Copa Libertadores, di fatto la Champions sudamericana, la cui vincitrice, a parte due volte, contende all’Europa il Mondiale Fifa per Club. Eduardo Ache, presidente del Nacional di Montevideo, si è detto d’accordo a patto che non soppianti la Libertadores; un “desiderio” l’ha definita Luis Segura, attuale numero uno ad interim dell’Afa (Asociacion del Futbol Argentino), che ha problemi più grossi che pensare a una Champions americana: “Tuttavia non c’è niente di concreto”, ha chiosato. Pare, infatti, che sia stato Marcelo Tinelli, vice presidente del San Lorenzo e da poco anche della stessa Afa, il referente del progetto in Argentina. Presentatore televisivo e uomo di calcio, Tinelli correrà per il trono della federazione contro Segura, forte pure dell’appoggio di Daniel Osvaldo Scioli, governatore della provincia di Buenos Aires e candidato alla presidenza della Repubblica, per molti il futuro presidente.

Il paraguaiano Juan Angel Napout, numero uno della Conmebol, ha sottolineato di non avere in mano nulla di concreto ma che se i club presenteranno un progetto lo prenderà in considerazione. “Non solo lo conosco, ma abbiamo firmato una lettera d’intenti a favore della nuova coppa”, ha dichiarato al Clarin il presidente del River Plate Rodolfo D’Onofrio, facendo capire quanto ne abbiano parlato in certi ambienti, sicuramente più che dentro le federazioni nazionali e continentali. Daniel Lagares, commentatore del Clarin, ha definito l’idea un “meganegocio” (un mega affare) più per i grandi network televisivi che per il calcio: “È legittimo credere che il denaro possa frenare la vendita di calciatori sul mercato europeo, creando una nuova consapevolezza e valorizzando i settori giovanili, ma a niente servirà un futbol ricco senza trasparenza e senza una profonda pulizia dell’amministrazione delle federazioni e del management degli stessi club”. Gli scandali che dall’Afa alla Conmebol e alla Concacaf arrivano sino alla Fifa non fanno sperare niente di buono, ma sempre secondo Lagares, con le migliori intenzioni, il momento per un cambiamento radicale del football sudamericano e mondiale è propizio. Anche se passa da uomini d’affari che hanno eretto i diritti televisivi a massima espressione del calcio?

Riccardo Silva è nato a Milano il 4 giugno del 1970, bocconiano, la sua famiglia paterna è proprietaria di uno dei principali gruppi chimici italiani. Ha fondato la MP & Silva a Singapore nel 2004 (società considerata uno dei tanti bracci della multinazionale Infront Sports & Media, che in Italia, tra le altre cose, è Advisor della Lega Calcio per la commercializzazione dei diritti televisivi e media dei campionati di serie A e B, Coppa Italia e Supercoppa), facendola diventare leader mondiale nella distribuzione dei diritti televisivi; dalla Premier League alla Nba, dalla Nfl alla Bundesliga, dalla Fifa alla F1, dalla Cbf al Comitato olimpico asiatico, per un fatturato di 750 milioni di dollari l’anno. Silva è socio del Flamengo e, insieme a Paolo Maldini, proprietario del Miami FC, che giocherà la Nasl (North American Soccer League, “la quale permette più flessibilità e indipendenza della Mls”). Sul sito personale (riccardosilva.com) ha scritto di far parte di diverse organizzazioni, tra cui il Consiglio per le Relazioni tra Italia e Stati Uniti, l’Arts Club di Londra e il Pd. Da come si descrive e da come ne scrivono Riccardo Silva pare il deus ex machina del calcio mondiale (i club italiani, a dire la verità, ancora non hanno capito se sui diritti televisivi è troppo bravo lui a rivenderli o troppo generosa la Lega a cederli, visti i ricavi della sua società), l’uomo che potrebbe dare vita all’America Champions League e che potrebbe cancellare con una firma una delle manifestazioni che hanno fatto e fanno la storia del football, la Copa Libertadores.

“L’America era un angolo, l’America era un’ombra, nebbia sottile, / l’America era un’ernia, un gioco di quei tanti che fa la vita”.

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Doosan FC, felici e perdenti

Dove comincia il giorno americano. Questo è il motto dell’isola di Guam, la più grande delle Marianne, nell’Oceano Pacifico. Conosciuta come Territorio di Guam, nella lista dell’Onu dei territori non autonomi e territorio non incorporato dipendente dagli Stati Uniti, che qui hanno una base militare tra le più importanti del mondo. Invasa dai giapponesi e liberata dagli americani con una delle battaglie più feroci della Seconda guerra mondiale, nel 1972 vi fu ritrovato il soldato giapponese Shoichi Yokoi, ignaro della fine del conflitto. Il primo esploratore a raggiungere l’isola fu, molto probabilmente, Ferdinando Magellano nel 1521; dichiarata possedimento della Spagna nel 1565 col nome di San Juan, tra il 1668 e il 1815 divenne un’importante tappa sulla rotta spagnola che legava il Messico alle Filippine. Gli abitanti sono 178.000, secondo il censimento del 2009, con una maggioranza chamorro (47%), un quarto di filippini (25%), asiatici (18%) e un 10 per cento di bianchi.

Dati e cenni storici che farebbero pensare a tante suggestioni, fuorché a quella sportiva del calcio. Eppure la febbre del football ha attecchito anche a queste latitudini. Sette squadre danno vita alla Budweiser Soccer League Division One, mentre dieci sono in Seconda divisione, in un regime di semiprofessionismo dove si trovano alcuni giocatori stranieri, in particolare francesi e olandesi. Tutte le partite si giocano all’FA National Training Center di Hagatna, la capitale, più simile a un villaggio che a una città. Ed è qui che si consuma la nostra storia, fatta di sconfitte e caterve di gol subiti. Si tratta del Doosan FC, inizialmente fondato dai dipendenti di un’azienda coreana, che a febbraio è diventato famoso suo malgrado, assurgendo alla gloria planetaria grazie alle pagine del sito della Fifa che ne sottolineava l’ennesima sconfitta, la più pesante della stagione sotto il profilo numerico contro i Rovers, un 24-1 che lascia poco all’immaginazione. Chi ha scritto quell’articolo ha utilizzato la parola «umiliante» senza un approfondimento, senza pensare a chi veste quella maglia, attratto solo dalle cifre inusuali per una partita di calcio.

A Guam le squadre non hanno un vero e proprio presidente, diciamo che si punta più sull’autogestione dove l’allenatore è l’unico punto di riferimento. Il Doosan FC in diciotto partite ha subito 183 reti e ne ha fatte 15, pareggiando una volta, perdendo sedici match e vincendone uno a tavolino dopo aver perso sul campo 12-0. Nel 2012-13 le partite perse sono state 20, con 17 gol fatti e ben 154 subiti. L’ultima vera vittoria risale al 2011-12, quando si chiamava Guahan ICRC (a Guam i club cambiano spesso nome secondo lo sponsor), ma quella era una squadra con giocatori forti, che però alla prima occasione hanno cambiato casacca. Geraldo Lundo è l’attuale allenatore che ha rifondato il Doosan FC con studenti e ragazzi appena diplomati, sergente maggiore, adesso fa l’ispettore di cibi e farmaci per il governo dell’isola. Si occupa anche della sezione di calcio a 5 e quella di beach soccer, a volte cambia la proprietà ma lui resta. Jill Espiritu, responsabile del dipartimento marketing e comunicazione della locale federazione, dice di Lundo: «È l’anima del club». Ma resta maledettamente difficile modificare le cose in una situazione del genere.

Molti calciatori a Guam sono soldati dell’esercito statunitense che non ha una propria squadra, così si dividono fra le formazioni dell’isola. In Nazionale, invece, giocano ragazzi che studiano all’estero, la maggior parte nelle università degli Stati Uniti: «Oltre a ricevere un’eccellente educazione possono migliorarsi nel football e divenire più competitivi», ha detto il Commissario tecnico Gary White, inglese, che può contare anche su calciatori che militano nel campionato filippino o meglio ancora nella Mls, come Adolph Joseph DeLaGarza (L.A. Galaxy). Affiliata all’Afc, confederazione asiatica, Guam è un puntino nell’Oceano Pacifico da cui è quasi impossibile emergere tirando calci a un pallone. Qui è più facile parlare di droni e aerei da caccia che di Andrea Pirlo, la sua posizione geografica, infatti, ne fa un hub militare irrinunciabile per gli Usa.

Alla fine per il Doosan FC la vera umiliazione sarebbe smettere di giocare, perché gli altri sono più forti e più bravi, perché subisce troppi gol, ma quello che conta per i suoi giocatori è solamente praticare il football e spassarsela. Così, per quante reti potranno subire, ogni volta continueranno a scendere in campo davanti a 1.500 persone, quanti spettatori contiene lo stadio federale, divertendosi.