La Doce, l’università degli ultrà
Gustavo Pereyra, detto ‘el Oso’ (l’orso), famoso ultrà del Boca Juniors e vicino a uno dei capi storici della Doce (culla del tifo organizzato gialloblù), Rafael Di Zeo, è stato ammazzato in casa lo scorso novembre, a Claypole, periferia sud di Buenos Aires. Più volte in carcere per episodi di violenza legati al calcio e daspato dagli stadi argentini, avrebbe pagato con la vita un regolamento di conti legato al traffico di droga. Il cui spaccio all’interno della Bombonera è una delle attività con cui la Doce si finanzia. A questa si aggiungono il riciclaggio di denaro sporco, il racket che colpisce gli stand che vendono cibo e bevande, la gestione illegale dei parcheggi gratuiti fuori dall’impianto, il merchandising non ufficiale, i tour per chi vuole vedere le partite in curva e, ovviamente, i biglietti rivenduti al migliore offerente visto che lo zoccolo duro degli ultrà entra gratis. Attività che possono fruttare dai 250.000 ai 400.000 pesos il mese, quando il Boca Juniors è impegnato anche nella Copa Libertadores, il cui 10% va al capo dei capi. “Il calcio è un affare di cui vivono giocatori, dirigenti, rappresentanti, giornalisti, tutti. E a noi, che contribuiamo allo spettacolo, spetta una parte” ha dichiarato Rafael Di Zeo, cristallizzando un retropensiero che non è esclusivamente argentino.
E pensare che il mito della Doce è nato nel 1925 quando il Boca volle essere la prima squadra argentina a fare un tour in Europa, cui contribuì economicamente Victoriano Caffarena (il dodicesimo uomo, appunto), proveniente da una famiglia benestante, che nelle tre settimane di viaggio s’improvvisò pure medico, diventando così amico dei calciatori che Antonio Cerotti lo scelse come padrino di suo figlio. Eletto presidente degli Amici della Repubblica de La Boca, commissionò a Italo Goyeneche e Fernandez Blanco l’inno della squadra gialloblù. Ma è all’inizio degli anni Settanta che nascono quelle che oggi sono chiamate barra bravas, come ha documentato il giornalista argentino Gustavo Grabia, autore de La Doce, libro denuncia uscito nel 2009 nel quale racconta come Alberto J. Armando decise d’importare in curva il modello peronista: biglietti gratis, viaggi pagati per la Libertadores, un asado al mese con la squadra, magliette firmate per la lotteria e una mensilità in contanti, che era ritirata da Enrique Ocampo (‘el carnicero’, il macellaio), primo capo ufficiale della Doce.
E se nei primi tempi il potere era scagliato e scandito dalle mani, negli Ottanta i rapporti, e le connivenze, col potere politico, la polizia e la magistratura sono diventati elementi decisivi per gestire e comandare la Doce. Perché quando le accuse arrivano sui tavoli di giudici tifosi del Boca le sentenze da esemplari si trasformano in insolite. Nonostante i vari governi succedutisi abbiano più volte dichiarato di volere contrastare la violenza delle barra bravas. Fino ad arrivare al “futbol para todos” deciso dal presidente Nestor Kirchner sotto la regia dei capi ultrà: calcio per tutti in televisione, gratuito; esperienza chiusa dal governo argentino nel 2017. In cambio: la partecipazione alle manifestazioni politiche di piazza.
Gli ultrà hanno accesso ai, vietatissimi, campi di allenamento del Boca per giocare le proprie partite e i cori di sostegno ai giocatori sono legati alla disponibilità degli stessi a partecipare alle cene dei tifosi, che servono per raccogliere altri soldi. Il presidente del club, Daniel Angelici, sta pensando a una nuova Bombonera, da 80.000 posti, ristrutturando quella già esistente e cercando di centrare due obiettivi: non spostare la storia xeneizes e tenere lo stadio aperto durante i lavori. Mossa, c’è da scommetterci, concordata con la Doce. Dove le parole chiave sono: pallottole, potere e tradimento. Negli anni si è perso il conto degli agguati e dei regolamenti di conti all’interno della curva boquense, con morti ammazzati e passaggi di testimone: “La Doce è come Harvard, un’università dove s’impara a essere ultrà” ha detto Rafael Di Zeo. Iniziazione, eredità e appartenenza.